venerdì 15 febbraio 2019

"È quasi una magia".

Di nuovo una manciata di personaggi per i quali ho utilizzato gli stessi occhiali (le lenti le ho buttate perché erano orribili: gialle e a specchio).

Questi tre personaggi hanno storie che contengono molti elementi di cruda ineluttabilità: Selma di "Dancer in the dark", Pehran de "Il tempo dei gitani" e Teddy di "Stand by me".

Selma e Pheran sono accumunati dall'aspetto magico e poetico che vede l'una capace di trasformare il ritmo della fabbrica un un musical e di avere dentro di sé un universo talmente ricco, non solo di musica, da farle dire con serenità "to be honest, I really don't care" al pensiero delle meraviglie che presto non sarà più in grado di vedere. Non le importa nemmeno di perdere la vita a causa di un inganno crudele: tutto ciò che vuole è salvare suo figlio dallo stesso destino di cecità che già sta arrivando a colpire lei. E in questo, con il suo sorriso dolcissimo e la sua fiducia incrollabile nel fatto che riuscirà ad aiutarlo, stravince. Anche se la sua uscita di scena spacca il cuore.


Pehran è capace di telecinesi, fenomeno che nelle prime scene viene accompagnato da una musica di Goran Bregovic che sa di infanzia e delicatezza. Diventa via via più cinico, corrotto e dominato dal desiderio di vendetta, tanto che il suo potere magico arriva a perdere la connotazione poetica e diventa strumento per distruggere.
Anche lui andrà incontro alla propria distruzione, però sull'onda del lato oscuro dell'essere umano e non avrà nel cuore la certezza di aver fatto il bene di chi ama.

Ecco la mia reinterpretazione, seguita dalla foto originale: in mancanza di un tacchino, ho chiesto al mio gatto di partecipare 😅.



E ora veniamo al personaggio che tra i tre amo di più.
Teddy, a prima vista, sembra non avere nulla di magico. Non è particolarmente dotato ed è stato profondamente ferito da un padre, a sua volta ferito dall'orrore della guerra. Idealizza il padre, probabilmente perché le violenze da lui subite gli risultano inaccettabili da parte un uomo che non è stato solo un folle pericoloso ma anche un eroe di guerra. Soprattutto, idealizza il padre perché constatare che un genitore non è e forse non sarà mai quello che avremmo voluto non è mai una cosa facile da mandare giù.


Ho scelto di rappresentarlo nel momento in cui se ne esce con l'epica battuta "il pezzo di merda ne ha migliaia di occhi" in risposta a Chris, che gli ha appena dato del pezzo di merda a quattr'occhi.
Gli altri scoppiano a ridere e lui prosegue a commentare il gioco di carte come se niente fosse. Leggendo The body, il racconto di Stephen King dal quale il film è tratto, si scopre che questo genere di battute misteriose ed esilaranti, per poi stupirsi delle reazioni altrui come se non avesse detto nulla di che, è tipico di Teddy. E questo, secondo me, è la sua magia.
La storia ci racconta solo che Teddy, ormai adulto, non riuscirà a realizzare il suo sogno di arruolarsi e morirà prematuramente, quindi anche a lui è riservato un destino molto amaro.
Eppure mi piace immaginarlo mentre continua a far ridere le persone senza averne avuto l'intenzione, mettendo assieme le frasi più improbabili e ad effetto, forse grazie a una qualche dote rinasta cristallizzata sotto al peso della sofferenza e che preme per uscire e sbocciare.

venerdì 8 febbraio 2019

Essere all'altezza di un sacco di cose

"Qualcuno della sua famiglia aveva combattuto ed era morto in Ogni. Singola. Guerra. Americana. Gli toccava essere all'altezza di un mucchio di cose...".
Così Forrest Gump descrive il Tenente Dan Taylor, sentendosi molto fortunato ad essere stato assegnato al suo plotone.

Anche io mi sento fortunata ad averlo "incontrato": è sicuramente il mio personaggio preferito nel film, poiché credo sia quello che compie la trasformazione più profonda.
Lo incontriamo in Vietnam e si presenta subito come un tipetto molto pieno di sé: parla a raffica, sfotte Gump e Bubba, non ascolta quanto gli viene detto e non ha alcuna vera considerazione per i dettagli della loro vita. Alabama, Arkansas... che importa? Gump e Bubba sono lì per essere ai suoi ordini e fargli da comparse nello snodarsi di un destino che vede già scritto e che gli sta benissimo: combattere e morire sul campo di battaglia (con onore!) come i suoi antenati.


Invece la guerra gli strappa le gambe e Forrest lo strappa al suo destino, malgrado le proteste del tenente.
Dan sprofonda nella depressione più nera e in ospedale si mostra quasi sempre apatico, tranne quando in un moto di rabbia avvia, a mio avviso, lo scambio di battute migliore del film e che si conclude così:

Tenente Dan: Questo non sarebbe dovuto succedere. Non a me. Avevo un destino. Io ero il tenente Dan Taylor.
Forrest: Lei è ancora il tenente Dan.
Tenente Dan: Guardami. Che cosa farò adesso? Che cosa farò adesso?

Ci vorranno diverse scene prima che il tenente impari a dare valore a quel "lei è ancora il tenente Dan". Quel lasso di tempo potrebbe diventare di per sé un film, raccontando in dettaglio la lotta di una persona per rimettersi in gioco, passando attraverso molteplici inferni.
Dalla sua parte Dan è provvisto di potentissimi detonatori: la collera per la sua condizione, l'arroganza (non ha perduto la convinzione di essere speciale ed in parte è questo a causargli tanta rabbia) e la voglia di sfidare se stesso e chiunque gli capiti a tiro.
In particolare è questo terzo fattore ciò che lo salva: dapprima, non credendo davvero che Gump voglia comprare una barca per gamberi, lo sfotte dicendo che quel giorno lo raggiungerà per fargli da primo ufficiale (ma naturalmente una volta arrivato si mette a spadroneggiare); poi, durante una tempesta, sale all'albero maestro e sfida Dio. Si incazza con Dio (o con la vita). E, come Giobbe, tramite questo gesto, si eleva.
Da anni la sua vita era imbevuta di rancore e amarezza; in mezzo alla tempesta riesce finalmente a convogliare in direzione creativa tutta la rabbia impotente che covava. Perché proprio in quel momento?
Nei mesi sulla barca, la vicinanza di Forrest (cioè di una persona che gli vuole bene e lo stima incondizionatamente) e una vita sana (dopo anni di dipendenza dall'alcool) hanno sortito il loro effetto. C'è da dire che quando Dan giunge al molo di Bayou LaBatre è già sobrio, quindi parliamo di un percorso che in lui si era già avviato tempo prima, probabilmente già quando Forrest gli ha parlato del suo progetto. Ed è proprio questo che a Dan era mancato: un progetto, uno scopo.

Capita spesso, inizialmente, di essere scettici o di deridere il progetto che ci salverà la vita. Al primo approccio, e spesso anche per molto tempo dopo, non lo sappiamo che c'è una magia in corso.
Ce ne accorgiamo a cose fatte, quando arriva il momento di dire "non ti ho mai ringraziato per avermi salvato la vita".
E allora diventiamo capaci di essere dentro la vita, senza bisogno di essere all'altezza di questo o di quello.

mercoledì 30 gennaio 2019

Il coraggio di diventare autentici

Ho letto che esiste la sindrome dell'impostore: conosco persone che ne soffrono e forse un po' ne soffro anch'io.
Pare che colpisca le persone capaci, spesso donne che lavorano in ambito accademico.
Semplificando, significa imputare qualsiasi successo ottenuto al caso o alla fortuna, non ai propri meriti.
È contrapposta all'effetto Dunning-Kruger, il quale riguarda invece gli individui poco esperti che tendono a sopravvalutarsi e anche a trattare gli altri dall'alto al basso.
Credo che più o meno tutti mostriamo di tanto in tanto eccessi sia da un lato che dall'altro, senza per forza "essere affetti da". Questo perché autodefinirsi non è facile e richiede periodiche osservazioni e aggiustamenti. 
Spesso arriva qualche prova inaspettata che ci porta a rivoluzionare l'idea che abbiamo di noi stessi, con conseguenti scosse di assestamento.
Fondamentalmente credo che questa sia la natura della vita e che passarci in mezzo con leggerezza (leggerezza, non superficialità!) abbia a che fare con la capacità di adattamento, ossia col saper modulare con saggezza le varie parti di se stessi a seconda della situazione e dell'effetto che si desidera ottenere. 
E a volte non si sa nemmeno dove si stia andando ma, se la bussola interiore è attiva e rivolta verso un fine creativo, questo continuo rimescolare le carte non può che essere un bene. 

Penso a Dewey Finn, ossia Jack Black in School of rock.
Come accade in altri suoi film, l'attore interpretata un personaggio che chiaramente si sopravvaluta e che può risultare sia adorabile che irritante.


Dopo essere stato messo con le spalle al muro perché non paga l'affitto, coglie al volo l'opportunità di fingersi un insegnante per poter guadagnare quanto gli serve.
Iniziano i suoi giorni da impostore a tutti gli effetti, eppure in quella circostanza emerge anche la sua parte più autentica, quella fatta di amore puro per la musica rock, che fino a quel momento aveva creduto di onorare stando su un palcoscenico a fare il frontman
Invece finisce per scoprire che il suo vero talento è saper mettere insieme un gruppo che funziona, avere una visione che include e valorizza le peculiarità di tutti... riesce meglio di chiunque altro a trascinare alcuni di quei ragazzini fuori dalla spirale di insicurezza che li imprigionava. E i bambini, con la loro schiettezza, lo inquadrano e aiutano ad andare fino in fondo e a mostrare finalmente tutta la sua competenza. 
Pazienza se non ottiene la vittoria: Dewey vince su se stesso e diventa adulto.

Una cosa simile accade a Toni Collette (❤❤❤) in Le nozze di Muriel, film che ho avuto la fortuna di vedere a quattordici anni grazie a mia madre, che ne noleggiò la vhs.


Non sono mai stata propensa a fingermi quella che non sono, né a considerare oro soltanto ciò che è "bello", "figo" e costoso. Non ho mai combinato i guai che combina Muriel, mentre cerca con ogni mezzo di essere accettata ed amata. Eppure la pellicola ebbe un impatto decisamente educativo su di me: non cambiò il mio atteggiamento verso il mondo, anche perché a differenza di Muriel io non ho avuto un padre ossessionato dal successo, ma mi fece riflettere parecchio sul modo in cui percepivo me stessa, perché anche io cercavo amore e accettazione, arrivando a volte ad farmi calpestare pur di evitare il biasimo. E a mettere da parte ciò che volevo davvero essere e fare.
Questo film presenta alcune scene esilaranti ma di fatto è crudo e drammatico: accadono alcuni eventi atroci e irreversibili prima che Muriel comprenda cosa è davvero importante per lei e per cosa valga la pena vivere. 
Nel momento in cui ristabilisce le sue priorità si trasforma da ragazza goffa in balia delle emozioni altrui a regina di se stessa, in grado di decidere, chiamare le cose con il proprio nome e pretendere per sé e per gli altri quel rispetto che da sempre suo padre nega a tutta la famiglia. È come se liberasse tutta l'energia che prima era impegnata a tenere in piedi una grande menzogna, sua e di suo padre. 
Muriel diventa competente e finalmente la miglior versione di se stessa, con gioia.

Quello che a mio avviso accomuna Muriel e Dewey è l'istante in cui entrambi riescono a porgere l'orecchio alla vocina seppellita della loro vera essenza. 
L'uno riuscirà a ridimensionare la visione grandiosa che ha di se stesso senza soffrirne ma, anzi, provando gioia per ciò che è stato capace di creare.
L'altra, dopo una vita passata a sussurrare, lancerà un forte ruggito, capace di riscattare anche la madre e i fratelli, definendo se stessa mentre trabocca di vita.

sabato 26 gennaio 2019

Uno strappo violento

Domani sarà il Giorno della Memoria e ho scelto questa immagine, che con molta fantasia e un paio di corna ripiene di melanzane, rappresenterebbe Angelina Jolie in Maleficent, nella scena in cui scopre che le sono state portate via le ali.


Trovo che questa scena mostri una tale disperazione da poter essere adatta a rappresentare tutta la crudeltà che c'è nel calpestare la vita di altre persone, tutta la somma degli strappi violenti che l'umanità ha inflitto e subito. E che continua a influggere e subire.
Tant'è che poi Malefica diventa fredda e disumana, come accade da sempre in questa ininterrotta catena di ferocia subita che diventa ferocia inflitta, quando non si ha modo di rielaborarla. (Ma lei poi riuscirà a risvegliare in sé i sentimenti e la gioia che la contraddistinguevano).

Dei libri di Primo Levi, quello che mi ha sempre colpito maggiormente è "I sommersi e i salvati", poiché in esso vengono descritti con grande precisione gli abitanti di quella che lui chiama la zona grigia, vale a dire tutti i prigionieri che avevano conquistato per sé un rango (non solo di kapò) che li metteva nella posizione di fare del male ad altri prigionieri. In modo più preciso, a rovesciare su di loro il male subito e la completa e fredda focalizzazione sulla propria sofferenza. In sostanza, il perfetto risultato dell'opera di disumanizzazione voluta da Hitler: non viene sterminata solo la persona, ma la sua essenza di essere umano.

Primo Levi ha anche scritto più volte che la storia dei lager viene raccontata da chi non ne ha scandagliato il fondo, poiché la maggior parte dei sopravvissuti è costituita da persone che in qualche modo, per abilità personali o semplice fortuna, si sono trovati in circostanze leggermente migliori. Quindi non ci è dato sapere se persone sottoposte a privazioni peggiori siano riuscite a mantenere vivo quel seme di umanità che ha permesso loro di abbracciare la missione di raccontare al mondo ciò che avevano vissuto.

Di certo sappiamo che almeno una persona è andata incontro a questa voragine con tutta l'intenzione di fare del proprio meglio per portare un po' di luce nel buio più totale, fermamente decisa a rifiutarsi di uccidere tutto ciò che di bello c'era in lei. 

Etty Hillesum non è sopravvissuta,ma sopravvive il suo diario.
E a me piace pensare che se fosse riuscita a tornare sarebbe stata simile a Ruth Gordon in Harold e Maud.


Sì, è bello pensare che qualcuno possa tornare dall'inferno e dire di averci trovato i diamanti sul fondo. Alle persone forti e fortemente umane può accadere, se hanno abbastanza fortuna.
Però sarebbe ancora più bello pensare che dopo millenni di massacri, e di crudeltà e indifferenza sempre più raffinata, si possano finalmente mettere da parte gli interessi economici e il proprio ego, rimescolare tutte le carte, e smettere di lasciar morire la gente come se non avessero un nome, un cuore, un universo intero dentro di sé.

(Post troppo emotivo e poco ragionato? Chissenefrega! È la reazione emotiva quella che può fare da detonatore per cambiare le cose).



sabato 12 gennaio 2019

Ti odio perché sì

Iriza Legan odia ferocemente Candy Candy. Si potrebbe pensare che si tratti di rivalità in amore, ma Iriza la odia da prima dell'entrata in scena di ragazzi e ragazzini. La odia forse da prima di incontrarla dato che, insieme al fratello Neal, la accoglie con una festicciola di benvenuto a base di secchiate d'acqua in testa.


Iriza, sapendo che Candy è stata adottata per farle da serva e da dama di compagnia, di sicuro non teme che la nuova arrivata possa rubarle l'affetto di mamma e papà. Eppure la odia. Perché sì. 
E gliene fa di tutti i colori. 
Forse perché Candy è "soltanto" un'orfana e Iriza è una nazista in erba, con tanto di fratello stupido e vigliacco che è sempre pronto ad obbedirle e a gioire del male che causa. 
Per fortuna Candy si difende bene e qualche volta riesce anche a segnare qualche punto a suo favore.
(A prescindere dalla forza di Candy, non si capisce perché alla casa di Pony non controllassero un po' meglio le famiglie prima di dare i bambini in adozione. Di certo, erano altri tempi. Se poi si considera che Candy decide di non raccontare a Miss Pony e Suor Maria di come viene trattata dai Legan, direi che la trappola è scattata alla perfezione).

Passano le puntate, Candy e Iriza crescono e, manco a farlo apposta, scoprono di avere gli stessi gusti in fatto di ragazzi. E da questo momento in poi l'odio di Iriza non fa che aumentare, dato che Anthony glissa elegantemente davanti ad ogni sua avance e qualche volta la riprende duramente per il suo comportamento nei confronti dell'amata Candy!
Poi Anthony muore ed entra in scena Terence: con le modalità piuttosto ruvide che riserva a Candy, della quale è innamorato, Iriza può solo aspettarsi di essere trattata da lui come una cretina insignificante.

Iriza è ricca e viziata, non ha mai alzato un dito in vita sua e non ci è dato sapere come proseguirà la sua vita da adulta. Io fatico a immaginare un uomo che possa sopportarla ma è possibile che prima o poi incontri qualcuno disposto ad assecondarla, come fa Mr Dashwood Junior con la moglie Fanny in "Ragione e Sentimento" (oltre al libro di Jane Austen sto pensando alla versione cinematografica diretta da Ang Lee).
Ma credo di sapere come sarebbe Iriza ai giorni nostri e senza una famiglia ricca alle spalle. Potrebbe benissimo essere Elle Driver (California Mountain Snake) di Kill Bill.


Per sottolineare la mia pochissima somiglianza con Daryl Hannah ho scelto di rappresentarla con un siringone da dolci pieno di panna montata (che non è veleno ma sicuramente a me causa danni) e una benda oculare fatta con un pirottino da cupcake. Ma, al netto delle differenze, Elle Driver è una stronza arrogante, aggravata dal fatto che finisce irrimediabilmente per essere sempre sconfitta, sia in amore che in guerra. Proprio come Iriza.
Le differenze tra le due, invece, potrebbero aprire un annoso dibattito sulla condizione della donna: meglio essere piene di soldi e pensare solo a fare shopping e dispetti, o piuttosto essere in grado di svolgere una carriera per pochi eletti e molto remunerativa (per quanto criminale)?
Meglio essere la seconda scelta di Bill, che comunque preferirà sempre Beatrix Kiddo sotto tutti gli aspetti, o meglio prendere sistematicamente dei due di picche che non lasciano spazio ad equivoci, come accade a Iriza?
Io penso che, comunque si scelga di vivere, votarsi all'odio, alla manipolazione e alla meschinità sia la miglior ricetta per rendersi infelici.
Ancora una volta ce lo dimostra Candy, che nel corso del cartone animato vive un sacco di esperienze diverse senza smettere mai di arricchire se stessa e gli altri. E ce lo dimostra anche Beatrix Kiddo, nella quale la capacità di amare viene amplificata all'ennesima potenza quando scopre di essere incinta. Da lì in poi la sua capacità di uccidere assumerà tutto un altro spessore poiché guidata dall'amore e non dal culto dell'ego nel quale Elle Driver resta intrappolata fino alla fine.

Resta da sperare nel finale aperto, per quanto riguarda il suo personaggio...


giovedì 10 gennaio 2019

"È il suo fan club che mi preoccupa".

Woody Allen si riferiva al fan club di Dio, ma di questi tempi io avrei più paura di quelli che, se non sei come loro ti avevano immaginato, e se non li ami quanto loro "amano" te, feriscono, umiliano, ricattano, costringono. Se gli riesce, arrivano anche ad uccidere. Spesso, di questi tempi, sono uomini. Eppure li vedo ben rappresentati da una donna: Annie Wilkes (superbamente interpretata da Kathy Bates in Misery non deve morire).

Il personaggio, creato da Stephen King, non sopporta di perdere né il personaggio di Misery né lo scrittore che l'ha creata, Paul Sheldon. Il poveretto, che già non se la passa bene a causa di un brutto incidente, viene addirittura storpiato dalla sua amorevole infermiera Annie, purché non possa sfuggirle. Di più: le "cure" consistono anche in un programma specifico per l'anima, secondo il suo personale codice morale, che è quanto di più bigotto si possa immaginare. È sicuramente la storia di un artista intrappolato dai desideri di una propria fan ma anche di chiunque si trovi in una relazione in cui la propria dignità, libertà ed individualità vengono costantemente calpestate e possibilmente annientate da un aguzzino frustrato, incapace di produrre da sé quel fuoco che vede nella sua vittima e che brama al punto da desiderare di spegnerlo qualora dovesse ribellarsi al proprio volere.

Lucius Malfoy (il bravissimo Jason Isaacs in Harry Potter) invece è molto meno pericoloso: lui fa parte di un fan club solo quando gli conviene, il che non gli impedisce di commettere atrocità, ma è più che disposto a vivere una vita tranquilla e lussuosa quando Voldemort non vede. 


La sua doppia faccia lo condurrà all'isolamento suo e della sua famiglia ma, in effetti, il primo e vero fanatismo di Lucius è sempre stato per se stesso: sentirsi superiore per rango, genetica, disponibilità economica, aspetto... probabilmente si sarebbe unito a chiunque potesse garantirgli questi riconoscimenti: scomparso Voldemort, l'importante è farsi vedere in qualità di persona influente al Ministero della Magia. Tornato Voldemort, di nuovo con lui.
Un elegante galletto di piombo in cima ad un tetto, pronto a muoversi con il vento del giorno. Ma in qualche modo la freccia indica sempre verso il nazismo.

Salieri (personaggio molto romanzato in Amadeus di Milos Forman, interpretato dal grandissimo F. Murray Abraham) potrebbe condividere il reparto psichiatrico con Annie Wilkes per quanto riguarda il desiderio di vendetta e di distruzione della persona oggetto del proprio amore/odio. Eppure, lui riesce a fare di "meglio".
Ho scelto di rappresentarlo proprio nella scena in cui dichiara a Dio, davanti al Crocifisso, che d'ora in poi saranno nemici e che il suo unico scopo sarà la distruzione di Mozart, che lui vede come un essere mandato da Dio per schernirlo nel suo tentativo di diventare un compositore di suprema grandezza.


Quando ancora faceva parte del fan club di Dio, Salieri aveva deciso di barattare con lui la propria castità, frugalità e operosità in cambio della grandezza sul piano artistico. Poi conosce Mozart e resta estasiato dalle sue composizioni ma al tempo stesso sdegnato perché "Dio ha affidato un simile talento a un essere così volgare".
Quello che invece salta agli occhi dello spettatore è la gioia di Mozart, la sua spensieratezza, il desiderio di divertirsi e divertire tutti, dall'Imperatore ai ceti più bassi del popolo. Invece, uno che ha rinunciato a cibo, sesso e svago che gioia può mai avere e donare?
È questo che Salieri non afferra e che probabilmente gli preclude quella linea diretta con la propria creatività che invidia tanto a Mozart: Dio (io preferisco chiamarlo Legge Mistica che permea tutti i fenomeni) è gioia. Non rigore. Non giudizio. Non spocchia. Gioia.
(Piccolo lapsus freudiano: invece di Salieri avevo scritto Salvini 😂😂😂).

Se Dio è gioia il Diavolo cos'è? Ignoro la definizione teologica ma dal punto di vista cinematografico posso dire che c'è diavolo e diavolo. 



Roseanne Barr, Ruth in She-devil, mette in scena una vendetta perfetta nei confronti del marito, colpevole di averla sempre trattata come una nullità e di averla lasciata per una scrittrice di romanzi rosa (la Sempre Mitica Meryl Streep) della quale è grande fan.
D'accordo, Ruth rovina completamente il marito, divertendosi un mondo nel farlo, quindi dal punto di vista di lui non può che essere un diavolo.
Eppure, seguendo meticolosamente il suo progetto di vendetta, per il quale le servono numerose alleate, Ruth riesce a cambiare in meglio la vita di tantissime donne che, proprio come lei, erano solite considerarsi ed essere considerate nullità.
In modo indiretto riesce anche a influire positivamente sulla vita della scrittrice che le ha "portato via" il marito: la vita a due con un uomo braccato dal demonio può rivelarsi molto pesante, ma anche spingere ad una maturazione verso una vita meno superficiale e una soddisfacente svolta letteraria. Un discreto regalo da parte di una fan, per quanto furiosa! 
Se tutti i diavoli fossero portatori di empowerment...

lunedì 7 gennaio 2019

Ehi, ne avevo dimenticato uno!

I cinque personaggi con gli stessi occhiali che ho descritto qui sono in realtà sei: avevo dimenticato "la vostra statua greca privata"! 😅
Ci tengo a rassicurare i lettori che questa non è sicuramente né la prima né l'ultima svista 😅.

Toula Portokalos se ne stava lì tra le altre foto, nei suoi vestiti informi e di colore indefinito, e proprio per questo finisce per aggiudicarsi un post da protagonista. Un po' come le accade nel film "Il mio grosso grasso matrimonio greco".


Mi piace un sacco questa scena: Toula, imprigionata nel ruolo di cameriera nel ristorante greco di famiglia, dimostra di saper ricorrere all'autoironia, che ha mostrato fin dai primi fotogrammi, anche in un momento in cui sarebbe facilissimo perdere il proprio centro: si trova infatti  davanti all'uomo per il quale ha appena avuto un colpo di fulmine.
Dapprima resta immobile, poi reagisce dicendo che le si era inceppato il cervello e se ne esce con quella battuta geniale: "Eccomi qua, sono la vostra statua greca privata!".
(Ci tengo a ricordare che l'attrice, Nia Vardalos, è anche sceneggiatrice di questo film).

Dunque Toula vive una vita che non la soddisfa ma non ha nulla a che vedere con LaVona Harding e non è alienata quanto la Signora del Ceppo. Riassume tutto ciò che vi è di positivo con gli altri suoi "compagni di occhiali": possiede l'autoironia di Rayon, sa ascoltare la propria voce interiore come Olive di Little Miss Sunshine e, grazie a queste caratteristiche, trova un modo per essere felice nella propria pelle, come Fuller. Diversamente da lui, riesce a migliorarsi quel tanto per piacersi e piacere di più, rimanendo se stessa.
Diventa una migliore versione di se stessa nel momento in cui decide di percorrere la propria strada, nonostante la trappola di ricatto emotivo che i suoi affetti più cari mettono subito in atto.
Liberandosi, e continuando ad amarli tutti, diventa fonte di ispirazione anche per il fratello.

Sarà che stanotte Bohemian Rhaosody ha vinto due Golden Globe, ma non riesco a fare a meno di pensare a questa splendida canzone scritta da John Deacon e a quanto rispecchi la storia di Toula e di parecchie persone che conosco ❤