"Qualcuno della sua famiglia aveva combattuto ed era morto in Ogni. Singola. Guerra. Americana. Gli toccava essere all'altezza di un mucchio di cose...".
Così Forrest Gump descrive il Tenente Dan Taylor, sentendosi molto fortunato ad essere stato assegnato al suo plotone.
Anche io mi sento fortunata ad averlo "incontrato": è sicuramente il mio personaggio preferito nel film, poiché credo sia quello che compie la trasformazione più profonda.
Lo incontriamo in Vietnam e si presenta subito come un tipetto molto pieno di sé: parla a raffica, sfotte Gump e Bubba, non ascolta quanto gli viene detto e non ha alcuna vera considerazione per i dettagli della loro vita. Alabama, Arkansas... che importa? Gump e Bubba sono lì per essere ai suoi ordini e fargli da comparse nello snodarsi di un destino che vede già scritto e che gli sta benissimo: combattere e morire sul campo di battaglia (con onore!) come i suoi antenati.
Invece la guerra gli strappa le gambe e Forrest lo strappa al suo destino, malgrado le proteste del tenente.
Dan sprofonda nella depressione più nera e in ospedale si mostra quasi sempre apatico, tranne quando in un moto di rabbia avvia, a mio avviso, lo scambio di battute migliore del film e che si conclude così:
Tenente Dan: Questo non sarebbe dovuto succedere. Non a me. Avevo un destino. Io ero il tenente Dan Taylor.
Forrest: Lei è ancora il tenente Dan.
Tenente Dan: Guardami. Che cosa farò adesso? Che cosa farò adesso?
Forrest: Lei è ancora il tenente Dan.
Tenente Dan: Guardami. Che cosa farò adesso? Che cosa farò adesso?
Ci vorranno diverse scene prima che il tenente impari a dare valore a quel "lei è ancora il tenente Dan". Quel lasso di tempo potrebbe diventare di per sé un film, raccontando in dettaglio la lotta di una persona per rimettersi in gioco, passando attraverso molteplici inferni.
Dalla sua parte Dan è provvisto di potentissimi detonatori: la collera per la sua condizione, l'arroganza (non ha perduto la convinzione di essere speciale ed in parte è questo a causargli tanta rabbia) e la voglia di sfidare se stesso e chiunque gli capiti a tiro.
In particolare è questo terzo fattore ciò che lo salva: dapprima, non credendo davvero che Gump voglia comprare una barca per gamberi, lo sfotte dicendo che quel giorno lo raggiungerà per fargli da primo ufficiale (ma naturalmente una volta arrivato si mette a spadroneggiare); poi, durante una tempesta, sale all'albero maestro e sfida Dio. Si incazza con Dio (o con la vita). E, come Giobbe, tramite questo gesto, si eleva.
Da anni la sua vita era imbevuta di rancore e amarezza; in mezzo alla tempesta riesce finalmente a convogliare in direzione creativa tutta la rabbia impotente che covava. Perché proprio in quel momento?
Nei mesi sulla barca, la vicinanza di Forrest (cioè di una persona che gli vuole bene e lo stima incondizionatamente) e una vita sana (dopo anni di dipendenza dall'alcool) hanno sortito il loro effetto. C'è da dire che quando Dan giunge al molo di Bayou LaBatre è già sobrio, quindi parliamo di un percorso che in lui si era già avviato tempo prima, probabilmente già quando Forrest gli ha parlato del suo progetto. Ed è proprio questo che a Dan era mancato: un progetto, uno scopo.
Capita spesso, inizialmente, di essere scettici o di deridere il progetto che ci salverà la vita. Al primo approccio, e spesso anche per molto tempo dopo, non lo sappiamo che c'è una magia in corso.
Ce ne accorgiamo a cose fatte, quando arriva il momento di dire "non ti ho mai ringraziato per avermi salvato la vita".
E allora diventiamo capaci di essere dentro la vita, senza bisogno di essere all'altezza di questo o di quello.
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