Ho letto che esiste la sindrome dell'impostore: conosco persone che ne soffrono e forse un po' ne soffro anch'io.
Pare che colpisca le persone capaci, spesso donne che lavorano in ambito accademico.
Semplificando, significa imputare qualsiasi successo ottenuto al caso o alla fortuna, non ai propri meriti.
È contrapposta all'effetto Dunning-Kruger, il quale riguarda invece gli individui poco esperti che tendono a sopravvalutarsi e anche a trattare gli altri dall'alto al basso.
Credo che più o meno tutti mostriamo di tanto in tanto eccessi sia da un lato che dall'altro, senza per forza "essere affetti da". Questo perché autodefinirsi non è facile e richiede periodiche osservazioni e aggiustamenti.
Spesso arriva qualche prova inaspettata che ci porta a rivoluzionare l'idea che abbiamo di noi stessi, con conseguenti scosse di assestamento.
Fondamentalmente credo che questa sia la natura della vita e che passarci in mezzo con leggerezza (leggerezza, non superficialità!) abbia a che fare con la capacità di adattamento, ossia col saper modulare con saggezza le varie parti di se stessi a seconda della situazione e dell'effetto che si desidera ottenere.
E a volte non si sa nemmeno dove si stia andando ma, se la bussola interiore è attiva e rivolta verso un fine creativo, questo continuo rimescolare le carte non può che essere un bene.
Penso a Dewey Finn, ossia Jack Black in School of rock.
Come accade in altri suoi film, l'attore interpretata un personaggio che chiaramente si sopravvaluta e che può risultare sia adorabile che irritante.
Dopo essere stato messo con le spalle al muro perché non paga l'affitto, coglie al volo l'opportunità di fingersi un insegnante per poter guadagnare quanto gli serve.
Iniziano i suoi giorni da impostore a tutti gli effetti, eppure in quella circostanza emerge anche la sua parte più autentica, quella fatta di amore puro per la musica rock, che fino a quel momento aveva creduto di onorare stando su un palcoscenico a fare il frontman.
Invece finisce per scoprire che il suo vero talento è saper mettere insieme un gruppo che funziona, avere una visione che include e valorizza le peculiarità di tutti... riesce meglio di chiunque altro a trascinare alcuni di quei ragazzini fuori dalla spirale di insicurezza che li imprigionava. E i bambini, con la loro schiettezza, lo inquadrano e aiutano ad andare fino in fondo e a mostrare finalmente tutta la sua competenza.
Pazienza se non ottiene la vittoria: Dewey vince su se stesso e diventa adulto.
Una cosa simile accade a Toni Collette (❤❤❤) in Le nozze di Muriel, film che ho avuto la fortuna di vedere a quattordici anni grazie a mia madre, che ne noleggiò la vhs.
Non sono mai stata propensa a fingermi quella che non sono, né a considerare oro soltanto ciò che è "bello", "figo" e costoso. Non ho mai combinato i guai che combina Muriel, mentre cerca con ogni mezzo di essere accettata ed amata. Eppure la pellicola ebbe un impatto decisamente educativo su di me: non cambiò il mio atteggiamento verso il mondo, anche perché a differenza di Muriel io non ho avuto un padre ossessionato dal successo, ma mi fece riflettere parecchio sul modo in cui percepivo me stessa, perché anche io cercavo amore e accettazione, arrivando a volte ad farmi calpestare pur di evitare il biasimo. E a mettere da parte ciò che volevo davvero essere e fare.
Questo film presenta alcune scene esilaranti ma di fatto è crudo e drammatico: accadono alcuni eventi atroci e irreversibili prima che Muriel comprenda cosa è davvero importante per lei e per cosa valga la pena vivere.
Nel momento in cui ristabilisce le sue priorità si trasforma da ragazza goffa in balia delle emozioni altrui a regina di se stessa, in grado di decidere, chiamare le cose con il proprio nome e pretendere per sé e per gli altri quel rispetto che da sempre suo padre nega a tutta la famiglia. È come se liberasse tutta l'energia che prima era impegnata a tenere in piedi una grande menzogna, sua e di suo padre.
Muriel diventa competente e finalmente la miglior versione di se stessa, con gioia.
Quello che a mio avviso accomuna Muriel e Dewey è l'istante in cui entrambi riescono a porgere l'orecchio alla vocina seppellita della loro vera essenza.
L'uno riuscirà a ridimensionare la visione grandiosa che ha di se stesso senza soffrirne ma, anzi, provando gioia per ciò che è stato capace di creare.
L'altra, dopo una vita passata a sussurrare, lancerà un forte ruggito, capace di riscattare anche la madre e i fratelli, definendo se stessa mentre trabocca di vita.
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