mercoledì 30 gennaio 2019

Il coraggio di diventare autentici

Ho letto che esiste la sindrome dell'impostore: conosco persone che ne soffrono e forse un po' ne soffro anch'io.
Pare che colpisca le persone capaci, spesso donne che lavorano in ambito accademico.
Semplificando, significa imputare qualsiasi successo ottenuto al caso o alla fortuna, non ai propri meriti.
È contrapposta all'effetto Dunning-Kruger, il quale riguarda invece gli individui poco esperti che tendono a sopravvalutarsi e anche a trattare gli altri dall'alto al basso.
Credo che più o meno tutti mostriamo di tanto in tanto eccessi sia da un lato che dall'altro, senza per forza "essere affetti da". Questo perché autodefinirsi non è facile e richiede periodiche osservazioni e aggiustamenti. 
Spesso arriva qualche prova inaspettata che ci porta a rivoluzionare l'idea che abbiamo di noi stessi, con conseguenti scosse di assestamento.
Fondamentalmente credo che questa sia la natura della vita e che passarci in mezzo con leggerezza (leggerezza, non superficialità!) abbia a che fare con la capacità di adattamento, ossia col saper modulare con saggezza le varie parti di se stessi a seconda della situazione e dell'effetto che si desidera ottenere. 
E a volte non si sa nemmeno dove si stia andando ma, se la bussola interiore è attiva e rivolta verso un fine creativo, questo continuo rimescolare le carte non può che essere un bene. 

Penso a Dewey Finn, ossia Jack Black in School of rock.
Come accade in altri suoi film, l'attore interpretata un personaggio che chiaramente si sopravvaluta e che può risultare sia adorabile che irritante.


Dopo essere stato messo con le spalle al muro perché non paga l'affitto, coglie al volo l'opportunità di fingersi un insegnante per poter guadagnare quanto gli serve.
Iniziano i suoi giorni da impostore a tutti gli effetti, eppure in quella circostanza emerge anche la sua parte più autentica, quella fatta di amore puro per la musica rock, che fino a quel momento aveva creduto di onorare stando su un palcoscenico a fare il frontman
Invece finisce per scoprire che il suo vero talento è saper mettere insieme un gruppo che funziona, avere una visione che include e valorizza le peculiarità di tutti... riesce meglio di chiunque altro a trascinare alcuni di quei ragazzini fuori dalla spirale di insicurezza che li imprigionava. E i bambini, con la loro schiettezza, lo inquadrano e aiutano ad andare fino in fondo e a mostrare finalmente tutta la sua competenza. 
Pazienza se non ottiene la vittoria: Dewey vince su se stesso e diventa adulto.

Una cosa simile accade a Toni Collette (❤❤❤) in Le nozze di Muriel, film che ho avuto la fortuna di vedere a quattordici anni grazie a mia madre, che ne noleggiò la vhs.


Non sono mai stata propensa a fingermi quella che non sono, né a considerare oro soltanto ciò che è "bello", "figo" e costoso. Non ho mai combinato i guai che combina Muriel, mentre cerca con ogni mezzo di essere accettata ed amata. Eppure la pellicola ebbe un impatto decisamente educativo su di me: non cambiò il mio atteggiamento verso il mondo, anche perché a differenza di Muriel io non ho avuto un padre ossessionato dal successo, ma mi fece riflettere parecchio sul modo in cui percepivo me stessa, perché anche io cercavo amore e accettazione, arrivando a volte ad farmi calpestare pur di evitare il biasimo. E a mettere da parte ciò che volevo davvero essere e fare.
Questo film presenta alcune scene esilaranti ma di fatto è crudo e drammatico: accadono alcuni eventi atroci e irreversibili prima che Muriel comprenda cosa è davvero importante per lei e per cosa valga la pena vivere. 
Nel momento in cui ristabilisce le sue priorità si trasforma da ragazza goffa in balia delle emozioni altrui a regina di se stessa, in grado di decidere, chiamare le cose con il proprio nome e pretendere per sé e per gli altri quel rispetto che da sempre suo padre nega a tutta la famiglia. È come se liberasse tutta l'energia che prima era impegnata a tenere in piedi una grande menzogna, sua e di suo padre. 
Muriel diventa competente e finalmente la miglior versione di se stessa, con gioia.

Quello che a mio avviso accomuna Muriel e Dewey è l'istante in cui entrambi riescono a porgere l'orecchio alla vocina seppellita della loro vera essenza. 
L'uno riuscirà a ridimensionare la visione grandiosa che ha di se stesso senza soffrirne ma, anzi, provando gioia per ciò che è stato capace di creare.
L'altra, dopo una vita passata a sussurrare, lancerà un forte ruggito, capace di riscattare anche la madre e i fratelli, definendo se stessa mentre trabocca di vita.

sabato 26 gennaio 2019

Uno strappo violento

Domani sarà il Giorno della Memoria e ho scelto questa immagine, che con molta fantasia e un paio di corna ripiene di melanzane, rappresenterebbe Angelina Jolie in Maleficent, nella scena in cui scopre che le sono state portate via le ali.


Trovo che questa scena mostri una tale disperazione da poter essere adatta a rappresentare tutta la crudeltà che c'è nel calpestare la vita di altre persone, tutta la somma degli strappi violenti che l'umanità ha inflitto e subito. E che continua a influggere e subire.
Tant'è che poi Malefica diventa fredda e disumana, come accade da sempre in questa ininterrotta catena di ferocia subita che diventa ferocia inflitta, quando non si ha modo di rielaborarla. (Ma lei poi riuscirà a risvegliare in sé i sentimenti e la gioia che la contraddistinguevano).

Dei libri di Primo Levi, quello che mi ha sempre colpito maggiormente è "I sommersi e i salvati", poiché in esso vengono descritti con grande precisione gli abitanti di quella che lui chiama la zona grigia, vale a dire tutti i prigionieri che avevano conquistato per sé un rango (non solo di kapò) che li metteva nella posizione di fare del male ad altri prigionieri. In modo più preciso, a rovesciare su di loro il male subito e la completa e fredda focalizzazione sulla propria sofferenza. In sostanza, il perfetto risultato dell'opera di disumanizzazione voluta da Hitler: non viene sterminata solo la persona, ma la sua essenza di essere umano.

Primo Levi ha anche scritto più volte che la storia dei lager viene raccontata da chi non ne ha scandagliato il fondo, poiché la maggior parte dei sopravvissuti è costituita da persone che in qualche modo, per abilità personali o semplice fortuna, si sono trovati in circostanze leggermente migliori. Quindi non ci è dato sapere se persone sottoposte a privazioni peggiori siano riuscite a mantenere vivo quel seme di umanità che ha permesso loro di abbracciare la missione di raccontare al mondo ciò che avevano vissuto.

Di certo sappiamo che almeno una persona è andata incontro a questa voragine con tutta l'intenzione di fare del proprio meglio per portare un po' di luce nel buio più totale, fermamente decisa a rifiutarsi di uccidere tutto ciò che di bello c'era in lei. 

Etty Hillesum non è sopravvissuta,ma sopravvive il suo diario.
E a me piace pensare che se fosse riuscita a tornare sarebbe stata simile a Ruth Gordon in Harold e Maud.


Sì, è bello pensare che qualcuno possa tornare dall'inferno e dire di averci trovato i diamanti sul fondo. Alle persone forti e fortemente umane può accadere, se hanno abbastanza fortuna.
Però sarebbe ancora più bello pensare che dopo millenni di massacri, e di crudeltà e indifferenza sempre più raffinata, si possano finalmente mettere da parte gli interessi economici e il proprio ego, rimescolare tutte le carte, e smettere di lasciar morire la gente come se non avessero un nome, un cuore, un universo intero dentro di sé.

(Post troppo emotivo e poco ragionato? Chissenefrega! È la reazione emotiva quella che può fare da detonatore per cambiare le cose).



sabato 12 gennaio 2019

Ti odio perché sì

Iriza Legan odia ferocemente Candy Candy. Si potrebbe pensare che si tratti di rivalità in amore, ma Iriza la odia da prima dell'entrata in scena di ragazzi e ragazzini. La odia forse da prima di incontrarla dato che, insieme al fratello Neal, la accoglie con una festicciola di benvenuto a base di secchiate d'acqua in testa.


Iriza, sapendo che Candy è stata adottata per farle da serva e da dama di compagnia, di sicuro non teme che la nuova arrivata possa rubarle l'affetto di mamma e papà. Eppure la odia. Perché sì. 
E gliene fa di tutti i colori. 
Forse perché Candy è "soltanto" un'orfana e Iriza è una nazista in erba, con tanto di fratello stupido e vigliacco che è sempre pronto ad obbedirle e a gioire del male che causa. 
Per fortuna Candy si difende bene e qualche volta riesce anche a segnare qualche punto a suo favore.
(A prescindere dalla forza di Candy, non si capisce perché alla casa di Pony non controllassero un po' meglio le famiglie prima di dare i bambini in adozione. Di certo, erano altri tempi. Se poi si considera che Candy decide di non raccontare a Miss Pony e Suor Maria di come viene trattata dai Legan, direi che la trappola è scattata alla perfezione).

Passano le puntate, Candy e Iriza crescono e, manco a farlo apposta, scoprono di avere gli stessi gusti in fatto di ragazzi. E da questo momento in poi l'odio di Iriza non fa che aumentare, dato che Anthony glissa elegantemente davanti ad ogni sua avance e qualche volta la riprende duramente per il suo comportamento nei confronti dell'amata Candy!
Poi Anthony muore ed entra in scena Terence: con le modalità piuttosto ruvide che riserva a Candy, della quale è innamorato, Iriza può solo aspettarsi di essere trattata da lui come una cretina insignificante.

Iriza è ricca e viziata, non ha mai alzato un dito in vita sua e non ci è dato sapere come proseguirà la sua vita da adulta. Io fatico a immaginare un uomo che possa sopportarla ma è possibile che prima o poi incontri qualcuno disposto ad assecondarla, come fa Mr Dashwood Junior con la moglie Fanny in "Ragione e Sentimento" (oltre al libro di Jane Austen sto pensando alla versione cinematografica diretta da Ang Lee).
Ma credo di sapere come sarebbe Iriza ai giorni nostri e senza una famiglia ricca alle spalle. Potrebbe benissimo essere Elle Driver (California Mountain Snake) di Kill Bill.


Per sottolineare la mia pochissima somiglianza con Daryl Hannah ho scelto di rappresentarla con un siringone da dolci pieno di panna montata (che non è veleno ma sicuramente a me causa danni) e una benda oculare fatta con un pirottino da cupcake. Ma, al netto delle differenze, Elle Driver è una stronza arrogante, aggravata dal fatto che finisce irrimediabilmente per essere sempre sconfitta, sia in amore che in guerra. Proprio come Iriza.
Le differenze tra le due, invece, potrebbero aprire un annoso dibattito sulla condizione della donna: meglio essere piene di soldi e pensare solo a fare shopping e dispetti, o piuttosto essere in grado di svolgere una carriera per pochi eletti e molto remunerativa (per quanto criminale)?
Meglio essere la seconda scelta di Bill, che comunque preferirà sempre Beatrix Kiddo sotto tutti gli aspetti, o meglio prendere sistematicamente dei due di picche che non lasciano spazio ad equivoci, come accade a Iriza?
Io penso che, comunque si scelga di vivere, votarsi all'odio, alla manipolazione e alla meschinità sia la miglior ricetta per rendersi infelici.
Ancora una volta ce lo dimostra Candy, che nel corso del cartone animato vive un sacco di esperienze diverse senza smettere mai di arricchire se stessa e gli altri. E ce lo dimostra anche Beatrix Kiddo, nella quale la capacità di amare viene amplificata all'ennesima potenza quando scopre di essere incinta. Da lì in poi la sua capacità di uccidere assumerà tutto un altro spessore poiché guidata dall'amore e non dal culto dell'ego nel quale Elle Driver resta intrappolata fino alla fine.

Resta da sperare nel finale aperto, per quanto riguarda il suo personaggio...


giovedì 10 gennaio 2019

"È il suo fan club che mi preoccupa".

Woody Allen si riferiva al fan club di Dio, ma di questi tempi io avrei più paura di quelli che, se non sei come loro ti avevano immaginato, e se non li ami quanto loro "amano" te, feriscono, umiliano, ricattano, costringono. Se gli riesce, arrivano anche ad uccidere. Spesso, di questi tempi, sono uomini. Eppure li vedo ben rappresentati da una donna: Annie Wilkes (superbamente interpretata da Kathy Bates in Misery non deve morire).

Il personaggio, creato da Stephen King, non sopporta di perdere né il personaggio di Misery né lo scrittore che l'ha creata, Paul Sheldon. Il poveretto, che già non se la passa bene a causa di un brutto incidente, viene addirittura storpiato dalla sua amorevole infermiera Annie, purché non possa sfuggirle. Di più: le "cure" consistono anche in un programma specifico per l'anima, secondo il suo personale codice morale, che è quanto di più bigotto si possa immaginare. È sicuramente la storia di un artista intrappolato dai desideri di una propria fan ma anche di chiunque si trovi in una relazione in cui la propria dignità, libertà ed individualità vengono costantemente calpestate e possibilmente annientate da un aguzzino frustrato, incapace di produrre da sé quel fuoco che vede nella sua vittima e che brama al punto da desiderare di spegnerlo qualora dovesse ribellarsi al proprio volere.

Lucius Malfoy (il bravissimo Jason Isaacs in Harry Potter) invece è molto meno pericoloso: lui fa parte di un fan club solo quando gli conviene, il che non gli impedisce di commettere atrocità, ma è più che disposto a vivere una vita tranquilla e lussuosa quando Voldemort non vede. 


La sua doppia faccia lo condurrà all'isolamento suo e della sua famiglia ma, in effetti, il primo e vero fanatismo di Lucius è sempre stato per se stesso: sentirsi superiore per rango, genetica, disponibilità economica, aspetto... probabilmente si sarebbe unito a chiunque potesse garantirgli questi riconoscimenti: scomparso Voldemort, l'importante è farsi vedere in qualità di persona influente al Ministero della Magia. Tornato Voldemort, di nuovo con lui.
Un elegante galletto di piombo in cima ad un tetto, pronto a muoversi con il vento del giorno. Ma in qualche modo la freccia indica sempre verso il nazismo.

Salieri (personaggio molto romanzato in Amadeus di Milos Forman, interpretato dal grandissimo F. Murray Abraham) potrebbe condividere il reparto psichiatrico con Annie Wilkes per quanto riguarda il desiderio di vendetta e di distruzione della persona oggetto del proprio amore/odio. Eppure, lui riesce a fare di "meglio".
Ho scelto di rappresentarlo proprio nella scena in cui dichiara a Dio, davanti al Crocifisso, che d'ora in poi saranno nemici e che il suo unico scopo sarà la distruzione di Mozart, che lui vede come un essere mandato da Dio per schernirlo nel suo tentativo di diventare un compositore di suprema grandezza.


Quando ancora faceva parte del fan club di Dio, Salieri aveva deciso di barattare con lui la propria castità, frugalità e operosità in cambio della grandezza sul piano artistico. Poi conosce Mozart e resta estasiato dalle sue composizioni ma al tempo stesso sdegnato perché "Dio ha affidato un simile talento a un essere così volgare".
Quello che invece salta agli occhi dello spettatore è la gioia di Mozart, la sua spensieratezza, il desiderio di divertirsi e divertire tutti, dall'Imperatore ai ceti più bassi del popolo. Invece, uno che ha rinunciato a cibo, sesso e svago che gioia può mai avere e donare?
È questo che Salieri non afferra e che probabilmente gli preclude quella linea diretta con la propria creatività che invidia tanto a Mozart: Dio (io preferisco chiamarlo Legge Mistica che permea tutti i fenomeni) è gioia. Non rigore. Non giudizio. Non spocchia. Gioia.
(Piccolo lapsus freudiano: invece di Salieri avevo scritto Salvini 😂😂😂).

Se Dio è gioia il Diavolo cos'è? Ignoro la definizione teologica ma dal punto di vista cinematografico posso dire che c'è diavolo e diavolo. 



Roseanne Barr, Ruth in She-devil, mette in scena una vendetta perfetta nei confronti del marito, colpevole di averla sempre trattata come una nullità e di averla lasciata per una scrittrice di romanzi rosa (la Sempre Mitica Meryl Streep) della quale è grande fan.
D'accordo, Ruth rovina completamente il marito, divertendosi un mondo nel farlo, quindi dal punto di vista di lui non può che essere un diavolo.
Eppure, seguendo meticolosamente il suo progetto di vendetta, per il quale le servono numerose alleate, Ruth riesce a cambiare in meglio la vita di tantissime donne che, proprio come lei, erano solite considerarsi ed essere considerate nullità.
In modo indiretto riesce anche a influire positivamente sulla vita della scrittrice che le ha "portato via" il marito: la vita a due con un uomo braccato dal demonio può rivelarsi molto pesante, ma anche spingere ad una maturazione verso una vita meno superficiale e una soddisfacente svolta letteraria. Un discreto regalo da parte di una fan, per quanto furiosa! 
Se tutti i diavoli fossero portatori di empowerment...

lunedì 7 gennaio 2019

Ehi, ne avevo dimenticato uno!

I cinque personaggi con gli stessi occhiali che ho descritto qui sono in realtà sei: avevo dimenticato "la vostra statua greca privata"! 😅
Ci tengo a rassicurare i lettori che questa non è sicuramente né la prima né l'ultima svista 😅.

Toula Portokalos se ne stava lì tra le altre foto, nei suoi vestiti informi e di colore indefinito, e proprio per questo finisce per aggiudicarsi un post da protagonista. Un po' come le accade nel film "Il mio grosso grasso matrimonio greco".


Mi piace un sacco questa scena: Toula, imprigionata nel ruolo di cameriera nel ristorante greco di famiglia, dimostra di saper ricorrere all'autoironia, che ha mostrato fin dai primi fotogrammi, anche in un momento in cui sarebbe facilissimo perdere il proprio centro: si trova infatti  davanti all'uomo per il quale ha appena avuto un colpo di fulmine.
Dapprima resta immobile, poi reagisce dicendo che le si era inceppato il cervello e se ne esce con quella battuta geniale: "Eccomi qua, sono la vostra statua greca privata!".
(Ci tengo a ricordare che l'attrice, Nia Vardalos, è anche sceneggiatrice di questo film).

Dunque Toula vive una vita che non la soddisfa ma non ha nulla a che vedere con LaVona Harding e non è alienata quanto la Signora del Ceppo. Riassume tutto ciò che vi è di positivo con gli altri suoi "compagni di occhiali": possiede l'autoironia di Rayon, sa ascoltare la propria voce interiore come Olive di Little Miss Sunshine e, grazie a queste caratteristiche, trova un modo per essere felice nella propria pelle, come Fuller. Diversamente da lui, riesce a migliorarsi quel tanto per piacersi e piacere di più, rimanendo se stessa.
Diventa una migliore versione di se stessa nel momento in cui decide di percorrere la propria strada, nonostante la trappola di ricatto emotivo che i suoi affetti più cari mettono subito in atto.
Liberandosi, e continuando ad amarli tutti, diventa fonte di ispirazione anche per il fratello.

Sarà che stanotte Bohemian Rhaosody ha vinto due Golden Globe, ma non riesco a fare a meno di pensare a questa splendida canzone scritta da John Deacon e a quanto rispecchi la storia di Toula e di parecchie persone che conosco ❤





Questione di lenti

"È strano che in un locale da poco come quello si siano incontrati i destini di tanta gente". (Dal film di Jon Avnet "Pomodori verdi fritti alla fermata del treno").


Ho pensato a questa frase quando, scorrendo il mio profilo Instagram homemade_characters, mi sono resa conto che gli stessi occhiali da 5€, comprati qualche anno fa per le mie estemporanee fughe pomeridiane al mare, mi sono serviti per fare fino ad ora cinque personaggi.

Rayon (Dallas Buyers Club)

Questi cinque hanno apparentemente poco in comune tra loro, eppure questa faccenda degli occhiali mi ha spinto ad andare in cerca di connessioni e spunti per metterli a confronto.

Inizio da Rayon che, complice la trentina di chili di differenza, mi sembra il meno riuscito: sembro semplicemente io esageratamente truccata, con gli occhiali da sole e un pellicciotto che non indossavo chissà da quanto. Eppure sento che la capacità di Rayon di affrontare la delusione, la sofferenza e la solitudine senza chiudere il proprio cuore mi appartiene.
Cos'ha Rayon in comune con LaVona Harding? Io credo che entrambi affondino le radici in un bel groviglio di ferite: entrambi si sentono esclusi e hanno incastonato nella propria pelle il clima rigido della carenza di amore e di accettazione. Rayon ha reagito coltivando amore, ironia e autoironia; LaVona invece è rigida e piena di collera. Il suo desiderio di riscatto la rende pronta a tutto, persino a servirsi della figlia Tonya, manipolandola attraverso la continua pretesa di risultati eccelsi con i quali Tonya spera di conquistare l'amore materno. 
LaVona è un personaggio disperato, incapace di uscire dai propri schemi e di guarire le proprie ferite guardandosi dentro: pretende di modificare ciò che è esterno e che detesta della propria condizione, nell'illusione di realizzarsi attraverso il talento della figlia, senza probabilmente avere una reale percezione di ciò che si è spezzato dentro se stessa.

LaVona Harding (I, Tonya)
A mio avviso LaVona ha anche una componente che l'avvicina alla Signora del Ceppo, non soltanto per quanto riguarda l'aspetto fisico: entrambe hanno un nemico al quale sbarrano la strada con tutte le proprie forze. 
La Signora del Ceppo, in senso letterale, sbarra la strada al fuoco, ossia al demonio, infatti ha reso il proprio caminetto inaccessibile. LaVona sbarra la strada a qualsiasi sentimento di dolcezza, pietà ed empatia che potrebbe trasformarla in una versione di se stessa più umana e felice. Sembra nutrirsi di tutto ciò che è cinismo, grettezza e amarezza, forse perché la più piccola concessione all'amore manderebbe in pezzi quella che in fondo è una donna fragile che sta in piedi solo grazie all'armatura di lacrime congelate che si è messa addosso. Lei vuole unicamente il riscatto e la più schiacciante delle vittorie. Solo allora, pensa, sarà felice.
Del nemico della Signora del Ceppo non so dire molto altro: non ho mai seguito Twin Peaks e quello che so di lei l'ho letto quando un'amica, Veronica, mi ha chiesto di fare questo personaggio. (La sostituzione del ceppo con una torta tronchetto è frutto di una scelta pragmatica: mia madre avrebbe potuto darmi un ceppo ma abita a venti chilometri da casa mia, il supermercato Lidl si trova invece a meno di un chilometro).

La signora del ceppo (Twin Peaks)

LaVona finisce per perdere sia l'amore della figlia che la sua unica possibilità di riscatto, cosa che invece non accade a Olive in Little Miss Sunshine. Lei si trova a vivere con un padre che dà fin troppo valore all'essere vincenti e, attraversando i suoi dubbi e la paura di deludere, stravince nel miglior modo possibile, trascinando con se tutta la famiglia verso la guarigione dai propri guai e la vittoria più autentica, celebrata ballando sul palco di una competizione per gente fasulla.

Olive Hoover (Little Miss Sunshine)



Quella di Olive è una gioia conquistata in mezzo ad un sacco di stimoli che avrebbero potuto guastarla. Mi piace pensare che sia stata la spontaneità che deriva dal suo nucleo di felicità innata a guidarla: lei ascolta tutti, ma è anche profondamente in contatto con se stessa, perciò sa distinguere cosa la nutre da cosa la mortifica.
Nasciamo felici, ne sono sempre più convinta, e siamo felici ogni qual volta concediamo a noi stessi di rientrare in contatto con il nostro nucleo più puro, a prescindere dalle circostanze che ci troviamo ad affrontare.

Ci sono altri personaggi meravigliosi in Little Miss Sunshine, magari presto approfondirò il discorso in un altro post. Ora voglio dedicarmi all'ultimo personaggio dagli occhiali rosa, Fuller McAllister di "Mamma, ho perso l'aereo" e seguito. Ve lo mostro nel video:




Lui è decisamente un personaggio felice. Si riempie di Pepsi, ha fama di essere uno che fa la pipì a letto, è figlio dell'antipatico zio scroccone, sembra anche un po' scemo e nessuno fa di certo la fila per stare con lui. Eppure, lui è semplicemente felice di essere al mondo e di essere Fuller.
Mi dispiace che non siano stati fatti altri sequel, magari più incentrati su di lui: mi avrebbe fatto piacere conoscerlo meglio. Me lo immagino, da adulto, simile a Fabietto, il personaggio interpretato da Silvio Vannucci in "Caterina va in città": non sembra essere una cima ma, a differenza di Giancarlo (Sergio Castellitto), ha scelto qual è il suo modo di stare al mondo e ci sta con gioia.

Ripenso ad uno spettacolo teatrale per bambini e ragazzi che mio padre aveva scritto e diretto quando avevo dodici anni: parlava di come il giusto "paio di occhiali" potesse farci vedere la vita con gioia e rinnovata fiducia.
Da miope so fin troppo bene che la parte fondamentale degli occhiali sono le lenti quindi, seppur indossando la stessa montatura, questi cinque personaggi spingono se stessi verso destini molto diversi, proprio come i clienti del Whistle Stop Cafè, sazi di cibi preparati dalle medesime persone, ognuno diretto per la propria strada.


sabato 5 gennaio 2019

Animali colorati e come preferisco realizzarli.


Qualche tempo dopo le prime pitture con pasta di Hoffman ed ombretti minerali ho provato a dipingere solo alcune parti del viso e ad intervenire con filtri dopo aver scattato la foto.
Le caratteristiche generali di tutti i miei travestimenti sono la velocità e l'instabilità, questo perché sono nati come brevi momenti di teatro che mi ritaglio da quando è nata mia figlia, che ora ha un anno e otto mesi. Quindi mi occorre essere rapida nel trucco e arrangiare costumi facili da togliere e da rimettere, nel caso io debba interrompere per riaddormentarla o per rispondere ad altre sue necessità.
La questione dei costumi la racconterò meglio in seguito, per ora mi limito a dire che faccio largo uso di mollette e di nastro adesivo.
Per quanto riguarda il trucco, i due tentativi che seguono sono quelli fatti applicando il filtro. Sicuramente è stato molto facile struccarmi, ma non li sento miei: il non aver "pastrocchiato" con i colori me li fa percepire freddi e fasulli, forse perché  trucco e costume mi aiutano molto ad immedesimarmi e il non averli già completamente addosso mi distrae. Non escludo però di poter ritentare la sfida in futuro, soprattutto quella di entrare nel personaggio con soltanto metà trucco fatto.

Avrei potuto fermarmi al primo tentativo, Lilli (e il Vagabondo), ma non ho resistito alla tentazione di fare anche lo Stregatto del Cheshire, poiché avevo da poco acquistato la camicia da allattamento che, ironia della sorte, sto indossando anche ora.
Anche il filtro per gli occhi non mi piace un granché: trovo che annulli completamente l'espressione e la renda fin troppo inquietante (non solo in caso di occhi da gatto/serpente 😅).

E così, ecco altri due animali veloci ed instabili ma con il trucco autentico. 
Le corna di Bubo (Labyrinth), nastro adesivo ripieno di melanzane lunghe, le ho riciclate da un altro personaggio, mentre le zanne sono due anacardi.


L'animale più recente invece l'ho fatto dopo aver trovato in sconto alla Lidl una confezione di colori per il truccabimbi (oltre a svariate parrucche in aggiunta al già numeroso arsenale).
Ho visto il verde, colore poco rappresentato nella mia collezione di ombretti in polvere, ho pensato alle mie federe viola e ho provato a realizzare il sogno di essere lui!


Su Cineludici qualcuno ha indovinato subito chi fosse, quindi immagino di aver reso l'idea ma, a proposito di instabilità dei travestimenti, mia figlia si è lamentata nel sonno cinque volte durante la mezzora scarsa di "riprese" per ottenere un video decente, quindi immaginate un film muto con una giunonica figura non tanto muta che corre avanti e indietro tra camera da letto e gelido pavimento della sala da pranzo. Poi guardate il risultato e siate clementi, vi prego, anche nei confronti del filmato che rifiuta di girarsi di novanta gradi 😅.


Qui e qui trovate gli altri post relativi al trucco.


giovedì 3 gennaio 2019

La più grande invenzione per un blu dipinto di blu



Da quasi dieci anni lavoro come operatore socio-sanitario in un servizio di assistenza domiciliare ad anziani e disabili. In questo arco di tempo avrò sentito diverse colleghe ripetere questo motto: quello che va bene per le chiappe va bene anche per la faccia.

Esatto. Infatti il prodotto magico l'avevo già in casa, sul fasciatoio di mia figlia, ma utilizzare lo stesso barattolo per entrambi gli scopi non è l'ideale, così ho comprato un'altra confezione:
È disarrossante, protettiva e ha l'immenso vantaggio di essere BIANCA.
Perché avevo bisogno di una crema che fosse bianca? Dopo le disavventure con i colori a tempera avevo deciso di tentare con gli ombretti minerali in polvere e un pennello da cipria, però il blu a diretto contatto con la pelle tendeva a virare verso il viola.
Spalmando una base bianca, invece, i pigmenti danno l'effetto desiderato e riesco a colorare più superficie con una minore quantità di ombretto, perché la crema lo scioglie e il pennello scivola più facilmente. In più diventa molto più facile da togliere.

Questo è stato il primo esperimento blu, ossia Violetta Beauregard da "La fabbrica di cioccolato".

E questa invece è Tristezza, da "InsideOut", realizzata alcuni mesi più tardi, dopo aver accumulato punti esperienza&accuratezza.


Del resto, lo dicono anche i veri make-up artists: la base è tutto!
Beh, non lo dicono solo loro, ovviamente 😅: l'importanza delle fondamenta viene ribadita in pressoché tutti i contesti.
Quello che penso io in merito è che non basta averle o crearle una volta per tutte: le fondamenta della propria vita necessitano di periodica manutenzione su vari fronti.
Voi cosa ne pensate?

Qui trovate il link al precedente post in merito al trucco. Qui, al successivo.

mercoledì 2 gennaio 2019

Pitture di guerra

C'è un bellissimo libro di Mark Twain, tra gli altri bellissimi libri di Mark Twain, che si intitola "Il diario di Adamo ed Eva".
Eva pensa a se stessa come ad un esperimento e, giorno per giorno, scrive frasi come "l'esperimento bruciato evita il fuoco".
Ecco, nel mio caso, "l'esperimento pitturato evita la tempera sul viso". Non fatelo a casa vostra, brucia tantissimo!!! 😱


Avevo iniziato con quella azzurra, sentendo un pizzicore sopportabile per la durata dello scatto. Anzi, devo dire che il fastidio e la conseguente preoccupazione hanno aiutato l'espressione: si tratti di tempera azzurra o di invasori inglesi, il desiderio è uno solo... libertaaaaaaaaà!

Non ancora soddisfatta, ho pensato bene di realizzare un sogno che stava nel cassetto dal 1990, quando vidi per la prima volta Balla coi lupi: diventare Vento nei capelli in assetto da guerra!


Forse è più il caso di dire Phon nei capelli, dato che l'effetto speciale è stato affidato a un Rowenta pro supersilent checcacchioneso. Fatto sta che se la tempera azzurra pizzica, quella nera brucia all'inverosimile!!! E se ci buttate sopra aria calda non è che la situazione migliori. 😅
Inutile dire che l'espressione è in larga parte indotta dalla tortura autoinflitta.
Meraviglioso il sollievo provato dopo essermi struccata; per fortuna il bruciore è passato quasi subito.

La scatola dei colori a tempera giace sullo scaffale della libreria e non sarà mai più utilizzata in modo improprio dalla qui presente volpe.

Qui e qui trovate i successivi post riguardanti il trucco.

martedì 1 gennaio 2019

L'episodio pilota: il buon giorno si vede dal mattino!

Andato "in onda" il 30 aprile 2018, così, tanto per fare un esperimento
fine a se stesso.
Da qualche settimana stavo frequentando un Gruppo Facebook chiamato "Cineludici non tanto lucidi" e avevo notato che ogni tanto, tra rebus e crittografie a tema cinema, qualcuno postava la foto di qualche travestimento e proponeva agli altri di indovinare il personaggio.
Quel giorno il erano già stati tirati in ballo più volte Frankenstein Junior e Frau Blucher, così mi sono detta "perché no? Del resto il mio amico Nicola ogni tanto mi chiama proprio Frau Blucher (oppure Rottenmaier)_ benché io sia un docissimo angioletto!". Così mi sono messa addosso un foulard regalatomi da una cara amica e uno scialle nero ereditato da una prozia. Lo chignon non voleva saperne di stare su, così mi sono appoggiata all'armadio per ovviare all'inesorabile forza di gravità. Poi ho applicato un filtro bianco e nero.
Ecco il risultato:


Tempo dopo, con un po' di esperienza in più ho deciso di omaggiare nuovamente la mia musa Nicola interpretando anche la sua cara Rottenmeier.
Anche in questo caso si tratta di un autoscatto e, grazie alla chioma un po' più corta, questa volta lo chignon si è sentito libero di puntare verso l'alto, con tutta l'algida fierezza della sua proprietaria:


In molti casi, specialmente quando entrambe le mani devono entrare nell'inquadratura, non sono io a scattare le foto, ma il fotografo ufficiale del progetto. Poiché ha anche altri ruoli in questa faccenda, merita uno o più post a parte.